Occorre una breve parentesi sul giovane designer che si affaccia al mondo
della professione e sui problemi del suo inserimento nel mondo del design e
delle imprese.
La formazione scolastica del giovane designer è in gran parte fondata
sull’idea che il compito professionale sia quello di soddisfare i bisogni
della gente attraverso i prodotti ed è stato indotto ad esercitarsi in questa
speciale attività e, di conseguenza, ad inventarsi nuovi bisogni e nuove
soluzioni.
Ciò, purtroppo, avviene senza che la formazione abbia creato, per oggettive
difficoltà pratiche, un rapporto di collaborazione profonda e continuativa con
le strutture aziendali. L’incontro con l'impresa cliente è quasi sempre un
contatto iniziale per illustrare il tema da svolgere, cui segue una sessione
di valutazione dell’ideazione. L’addetto aziendale giudica il giovane designer
per quel che ha fatto, senza imporre direttive ferree e senza farlo
interfacciare in modo continuativo con l’engineering. Questo approccio non è
sufficiente a inculcare la mentalità aziendale. La funzione di interprete e di
espressivo, per nascere e svilupparsi, ha bisogno di un confronto più
approfondito e continuo con l’azienda che propone il tema.
Quando ciò non avviene accade che il designer pensi che si deve sempre
ricominciare daccapo.
Ne consegue che il giovane designer, quando non è ancora attivo
professionalmente, occupa il suo tempo a crearsi il portfolio da presentare ai
futuri clienti e, quindi, si inventa il prodotto e se lo disegna. Il designer
si vede bene nei panni dell’inventore. In altre parole si scrive il briefing e
cerca di interpretarlo ed esprimerlo attraverso la proposta di un oggetto.
Questo giovane si mette al lavoro con una sola cosa in mente: inventare un
prodotto che sia del tutto nuovo senza troppo approfondire cosa significhi. A
fronte di questa realtà, il designer si ritrova nei panni dell’inventore
piuttosto che nei panni dell’interprete delle invenzioni altrui in quanto non
ha i vincoli insiti nel briefing aziendale.
Il giovane designer non ha una visione aziendale anche per un altro motivo: è
tratto in inganno dal campo merceologico e dai relativi prodotti che gli sono
offerti come esempio: i gadget, i componenti d’arredo più semplici, i piccoli
utensili domestici, alcuni attrezzi da lavoro e qualche prodotto da
rivisitare. Cose che danno l’idea di essere elementari perché non richiedono
un grande sforzo ingegneristico e si risolvono sbrigativamente con un poco di
fantasia inventiva e di garbo compositivo.
Ne consegue che il giovane designer si presenta alle aziende come un piccolo
inventore di gusto, perché così ha imparato ad essere e come tale viene
recepito. Salvo vedersi cambiare la vita appena entra in azienda.
Il giovane che dalla scuola emigra verso il design ha, come esempio di
eccellenza, la figura del designer nei suoi tre ruoli di inventore, interprete
ed espressivo.
Figura che, in altri campi, si chiama cantautore.
Nel campo del design la possibilità di realizzarsi come cantautore non deve
essere considerata una grande aspirazione in quanto il sogno deve essere
quello di impegnarsi in progetti complessi e confrontarsi con gli esperti
delle altre discipline.
Per ragionare sul design, e sul senso dell’interpretazione e dell’espressione,
è bene dimenticarsi il ruolo del cantautore.
Quando i giovani si presentano al colloquio d’assunzione emerge chiaro che
cercano argomenti cui aggrapparsi per essere innovativi.
Il primo argomento è il loro forte bisogno di manifestare la propria
creatività. Questo bisogno li porta ad accondiscendere la propria voglia di
inventare oggetti nuovi in cui forzare gli insegnamenti scolastici di
funzionalità e razionalità.
In genere il risultato della forzatura non è brillante in quanto manca
l’approfondimento dell’espressività.
Molte volte nei colloqui si è costretti a consigliare a questi giovani di
fortificare la preparazione sul piano dell’espressione e di non preoccuparsi
troppo di inventare nuovi oggetti attraverso la modernità tecnologica. In
effetti i loro oggetti sono semplici ed il parco delle soluzioni tecnologiche
è vastissimo.
Pertanto, la componente trainante di questi progetti è l’espressione e la
necessità di addomesticarla per la fattibilità non è quasi mai un problema.
Al contrario, i professionisti sanno che i progetti in cui la fattibilità
costruttiva dell’oggetto predomina presentano un serio problema per renderli
espressivamente interessanti in quanto la tecnologia scelta non è mai l’unica
possibile e non è mai tanto espressiva in sé. Questo mi rafforza nell’idea che
l’espressione non è abbastanza coltivata e che nelle scuole si accettino
abbondantemente le potenzialità spontanee dell’allievo.